In Verità

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venerdì 19 ottobre 2012

Delirio di Provincia


Tra i passi bagnati del tempo ho un furore sopito, stanco, rassegnato. Una malattia di giorni e desideri. Tutti hanno ragione, tutti hanno  fragole di verità da farti mordere. Una calda coperta di certezze ispide che ti pizzica nel sonno. La verità è zoppa e mi accompagna al tocco sordo di un metronomo di legno. Il silenzio è qualcosa che non appartiene all'universo, come diceva lo stagirita, e il niente che sentiamo è solo l’urlo del cosmo. Gli occhi del cane triste inteneriscono anche gli assassini e il collo a scatti del barbagianni fa grattare anche i santi. Il medico recita da saggio se ti mette una mano in fronte e la sua linea della vita è lunga meno della mia. Tre venditori di rose si strappano spine dalle mani bestemmiando sui petali invenduti. C’è chi mi chiede una sigaretta con le spalle curve alla vita con occhi lucidi e macchiati d’arterie infinite. Cerco di guardare le sue bulbose geografie e abbassa la sguardo con rabbia e vergogna. Non sei nessuno e nessuno ti deve guardare per non ricordarsi di te. E resti il mio terrore, la mia vergogna. Che parentela ci sarà tra la pena e la paura? Il filo dell’ipocrisia tenuto teso dalla recita della compassione? E tiro il cordone viscido che mi ha messo al mondo nascosto in un bidone pieno di luci fulminate.  Tutti hanno attraversato quel mare sconfinato che corre tra la bocca di Circe e gli occhi di Nausicaa e sentir morire dentro ogni infrangersi dell’onda dell’incanto. Anche i muti parlano gridando con le mani, lanciando ansimi che ci raggelano la cervice di un lampo primordiale. Mi trattengo sul filo per restare in mezzo e mordere il confine di una notte che non vorrei mai finisse. La notte culla e tutto addormenta. Le pene, le paure e i pensieri; tutto si muove e niente si muove davvero. Anche gli eroi ronfano e sbavano dagli angoli dei tagli delle loro bocche, e alle dee si scioglie la maschera e crescon peli sulle loro cosce. Non ha fondo il margine del bicchiere e le trasparenze luccicano, si fanno cristalli. Anche l’acciaio lucido delle rotaie sembra pane di metallo. La notte non tratta, non arriva a compromessi, non si preoccupa di ciarlare nelle orecchie delle stelle per parlar male della luna. La notte non trama né contratta col mattino. Esaudisce le preghiere perché lascia loro lo spazio di muoversi.  Ha nella bocca denti di stelle e lingua di vuoto, uno stomaco di riposo e occhi chiusi per sognare. La notte non ci insegna niente e niente vuole insegnare. Chi vuole imparare dalla notte? 





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