In Verità

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martedì 26 febbraio 2013

IL CAOS E LA RASSEGNAZIONE


Ad un giorno dai risultati delle elezioni, in un’intervista rilasciata ad Alessandro Ferrucci del Fatto quotidiano, il filosofo Massimo Cacciari – una dei pensatori più influenti del paese, anche perché Agamben parla meno – definisce l’entourage di Bersani un insieme di “teste di cazzo”; l’affermazione – per quanto condivisibile - viene però messa in crisi dallo stesso professore quando alla fine dichiara che “non bisogna perdere la testa”.  Addentrarsi nel territorio del principio di non contraddizione sarebbe tanto impervio quanto poco utile, quindi preferirei partire dalle riflessioni di Cacciari per avere, almeno personalmente, un quadro decente. Il PD non sa vincere le elezioni e la cosa non è una novità; lo stesso filosofo è nel partito da un bel po’ di tempo e conosce perfettamente questa dinamica, quindi il suo rabbioso stupore somiglia più che altro all’affanno dell’Achille zenoniano che cerca di recuperare i passi in più di vantaggio della tartaruga… un annaspare poco produttivo almeno sulla base della logica. Persino la sua sfuriata dunque non risolve nulla anche perché, nonostante l’autorevolezza, viene dall’interno del partito, e meglio di me Cacciari sa che anche fuori dalle mura di Creta Epimenide resta cretese.
Nel mezzo di questi due estremi – l’incazzatura e l’invito alla calma – ci sono una serie di accuse dirette alla dirigenza del PD, ovviamente tutte vere: l’assoluta distanza dall’elettorato (ammesso che così lo si possa definire), le lotte interne, l’incapacità di realizzare un cambiamento reale, anche se sarebbe più opportuno definirla mancanza di coraggio - mantenere i numeri sicuri senza azzardarsi a cercare nuovo consenso con scelte forti e dichiarate è tipico di un pensiero conservatore e non certo di quello progressista. Più notevole delle altre è la riflessione sulla “boriosa albagia” di cui si è vestita la sinistra; una sorta di presunzione intellettuale che la rende insopportabile almeno dagli anni sessanta, peraltro anche ingiustificata: sono innumerevoli coloro che si sono convinti di aver letto Marx, Horkheimer, Adorno, Marcuse o Lukács grattando la quarta di copertina, anche se i peggiori sono quelli che avendo fatto questo sforzo fingono di non ricordare.
Insomma, il Partito Democratico non è diverso da chi lo ha votato: borghese lampante ma in fase di negazione se glielo si fa notare, assolutamente non disposto a rinunciare a nulla, neanche a una porzione minima del suo posticino al sole… ma sempre pronto ad indignarsi nel solito bar prima di andare in ufficio bofonchiando tronfio e incazzato - con un morso di brioches in bocca e un cappuccino caldo sul bancone - perché un numero notevole di “stupidi” hanno creduto alle promesse di un populista volgare e incapace, una figura morta politicamente sia a livello internazionale che nazionale, che tiene in vita un fantasma tramite promesse e immagini facendolo sembrare vivo. Purtroppo non aver votato Berlusconi non può più farci sentire migliori, superiori o mondi dall’idiozia generale, non ci giustifica né ci rende più coscienziosi o giusti. In un clima di demenza dilagante dove la stessa impera non è affatto consolatorio dichiarare semplicemente di non essere dementi e neanche credere di averlo dimostrato in un’urna. Quindi questa serie di “giorni dopo” in cui le chiacchiere mormoranti, le analisi sconcertate, l’indignazione generale e la preoccupazione abitano le nostre menti come un canovaccio stantio e ci vestono come un buffo e largo costume da Commedia dell’Arte  in un palcoscenico di banalità, lasciano il tempo che trovano. Purtroppo non abbiamo perso ai quarti di finale con la Corea bensì siamo nella merda!, e se veramente ne fossimo consapevoli non avremmo il tempo di fare la puccia nel cappuccino caldo col cornetto al bar convinti che sia fondamentale capire chi ha votato Berlusconi, anche perché la criminalità organizzata  i cornetti se li fa mandare a casa, se sono proprio fortunati nel covo. E mentre noi ci trasformiamo in “rivoluzionari ai tavolini”, recitiamo per qualche giorno la parte degli indignati basiti e increduli, c’è già chi è consapevole che questa recita durerà poco, il tempo di far raffreddare il tutto, il tempo riappropriarci del nostro morbo più endemico e nefando… la rassegnazione. Quel sentimento che radicherà in noi la molle convinzione che nulla mai cambierà e sul quale tutti contano e puntano per continuare a restare in un olimpo di privilegi in rovina, di decadenza vergognosa di cui questo risultato elettorale è solo lo specchio, niente di più niente di meno che il puntuale e drammatico riflesso.

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