In Verità

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mercoledì 20 luglio 2016

La censura tra il classico e il contemporaneo. Sabina Guzzanti e Mauro Biani


La censura è sempre un feroce gesto di debolezza. Al di là di qualsiasi considerazione etica a riguardo, considero l’atto censorio la transitoria ed inevitabile miseria di ogni potere nei confronti della storia. Non è un caso che a distanza di tempo essa si sia sempre rivelata “perdente”. La censura può ammantarsi di “nuovo”: può avvalersi di nuovi e più sofisticati strumenti, giustificarsi con nuove e più sottili espressioni, circostanziate e “superiori” ragioni, o moralistici confini,   ma la si potrà sempre riconoscere attraverso l’unico e triste fine che si prefigge: limitare la libertà di espressione. Quindi, a ben vedere, un’azione che ha per scopo la volontà di inaridire le coscienze non può che esser essa stessa (e in se stessa) totalmente sterile. Per quanto si manifesti in tutte le epoche e in tutti i poteri che in esse si succedono, la censura non ha prole, non può averne, ma solo utilitaristiche, e mai occasionali, riproposizioni.
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